Chiesa di San Domenico - Parrocchia Ortodossa di San Giovanni Battista
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Una chiesa rurale

Salvatore Falzone

[…] Nel corso del Seicento in Sicilia nacquero centri, medi e piccoli, sia lungo la costa sia nell’entroterra. In questo contesto storico si spiega che sul finire del Cinquecento in una contrada dal clima temperato sorgesse una masseria, aA foto per copertina nord del Torrente Sambuco che più a valle, in contrada Castelluccio, versa le sue acque nel Morello. La scelta era strategica poiché il deposito agricolo, dotato di un bevaio utile a dissetare gli animali, si veniva a trovare nelle vicinanze delle trazzere che attraversavano i territori dei comuni, di origine medievale, Gangi, Sperlinga, Nicosia e Calascibetta.

Nel periodo di transumanza gli armenti potevano sostare a Càcchiamo e i commerci, fra Settecento e Ottocento, si sviluppavano a vantaggio di agricoltori e allevatori locali, nonché di uomini d’affari di passaggio nei centri abitati minori di fondazione recente, come Villapriolo e Villadoro.

Nella prima metà del XVIII secolo il fondo agricolo di Càcchiamo si sviluppò; verso il 1732 Francesco Bongiorno, discendente di una famiglia altolocata di Gangi ben avviata nella nobiltà siciliana, fece ampliare la masseria, completandola di officine e depositi. Inoltre, rinnovò l’abitazione privata. A metà del Settecento si registrò un sensibile sviluppo economico del feudo tanto che la famiglia Bongiorno fece abbellire la cappella privata.

Questa chiesetta gentilizia era stata realizzata per tenervi il culto e richiamare gli abitanti del fondo agricolo; era officiata da sacerdoti, religiosi o secolari, che provenivano dai centri maggiori del circondario ed erano graditi alle famiglie nobili o aristocratiche le quali sulla cappellanìa esercitavano il patronato. Alcune zone del circondario di Càcchiamo, fra l’altro, erano di proprietà di famiglie benestanti di Ganci e di Nicosia e talora da tali famiglie provenivano i cappellani inviati a Càcchiamo. Nel corso del primo Ottocento il feudo, il cui titolo per via di eredità era passato da una famiglia facoltosa ad un’altra, conosceva un lento declino; sono questi i decenni in cui, al pari di altre frazioni del circondario, i centri rurali vengono affiliati alle municipalità locali; e così Càcchiamo venne aggregata al Comune di Calascibetta.

[…]

Fino al primo Novecento le attività redditizie sono state l’agricoltura e la pastorizia; in particolare, nelle aree pedemontane si sono sviluppati allevamenti di suini, ovini, bovini ed equini. Nella zona sono state attive anche delle cave di pietra (una in contrada Fucilino e l’altra vicina al monte Giulfo).

A mano a mano che si espandevano le frazioni di Villadoro e Villapriolo, si incrementavano pure le attività delle contrade minori dove intanto erano sorti dei casali (Milletarì, Menta, Bordonaro, Canneti, Monzonara, Pezzente, Schifano, Pietrelunghe, Manca e Destra di Conte, Mandra di Piano). Càcchiamo cominciava ad espandersi. Alla prima masseria, contornata da poche abitazioni provvisorie, si aggiungevano alcune famiglie di coloni, provenienti dai paesi viciniori (fra cui Alimena e Resuttano), formando così un nucleo abitato di oltre trecento persone, a cui potevano aggiungersi i braccianti stagionali.

Nel secondo dopoguerra gli allevatori, i mezzadri e i gabellotti, raggiunsero migliori condizioni di vita. Grazie alla riforma agraria, promossa dallo Stato italiano, le famiglie potevano acquistare ettari di terra; divenendo piccoli proprietari si aveva motivo di costruire in muratura le case. Dalle sparse case coloniche nasceva così una nuova compagine edilizia. Si presentava così l’opportunità di ripristinare la chiesetta rurale caduta in disuso.

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Il sacerdote che si è trovato nella fase di passaggio dalla cappellanìa rurale alla fondazione della chiesa parrocchiale è stato don Carmelo Vaccaro (1905-1996) in servizio a Càcchiamo dal mese di ottobre del 1960 fino al mese di marzo del 1986. Egli ha conosciuto le difficoltà generate dal progetto di edificare una nuova chiesa in un ambiente piccolo che non poteva assicurare una ricca base di congrua o adeguate forme di reddito. D’intesa con il vescovo Francesco Monaco, don Carmelo Vaccaro si impegnò a procurare finanziamenti per il nascente edificio sacro. Eretto, almeno sulla carta, nell’ottobre 1960, «San Giuseppe» è stato consegnato al rustico solo nei primi anni settanta, rivelando una architettura poco originale, su pianta esagonale, caratterizzata da spazi funzionali.

La posa della prima pietra avvenne il 4 luglio 1971; vi hanno partecipato le autorità locali, civili ed ecclesiastiche, ed anche la famiglia Balsamello (originaria di Ganci) che aveva donato il terreno per la costruzione da avviare. Altra figura di rilievo è stata Grazia Bruno (originaria di Petralia soprana) la quale ha donato un’altra parte del terreno su cui edificare.

L’apertura al culto si è avuta il 6 gennaio del 1975, giorno dell’Epifania. Nel corso del 1975 mons. Monaco (nativo di Agira) sarebbe ritornato il 17 ottobre per amministrare la cresima. Prima di allora le celebrazioni si tenevano nell’antica chiesetta. Una volta realizzati i locali della parrocchia, don Vaccaro decise di darli in affitto al municipio di Calascibetta per tenervi alcune classi di scuola elementare (a classi riunite) e una scuola materna. Questo si è verificato fra gli anni settanta e gli anni ottanta. In seguito l’amministrazione ha provveduto alla costruzione di un edificio scolastico pubblico.

Nel mese di aprile del 1986 don Paolo Grimaudo è succeduto come nuovo parroco; egli, in conformità alle indicazioni del vescovo diocesano e sulla scia del Concilio Vaticano II, ha introdotto gli organismi del Consiglio pastorale e del Consiglio di affari economici.

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A partire dalla fine degli anni ottanta, l’edificio di culto e i locali di pertinenza venivano gradualmente completati; grazie a vari benefattori, la chiesa è stata dotata di un nuovo altare e di un nuovo tabernacolo. Sul finire di luglio 1986 veniva introdotta una nuova statua di san Giuseppe. Nei primi anni novanta, grazie al generoso concorso della comunità locale, sono state completate alcune opere: salone, gradinata e piazzetta. È stato rinnovato pure l’impianto di riscaldamento. Nell’ottobre 1998 si è ultimata la decorazione della chiesa, inaugurando un ciclo pittorico dedicato alla vita di san Giuseppe.

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Il 23 luglio 1988 è stato inaugurato il monumento mariano dedicato alla Madonna del buon cammino; nel corso del 1987 la parrocchia è stata riconosciuta come ente ecclesiastico con personalità giuridica; il 1° ottobre 1989 è stata ultimata la piazzetta antistante la chiesa, impiantandovi una statua di san Giuseppe operaio.

 […]

Alcuni momenti specifici, rivolti alla formazione dei giovani, sono stati curati dal parroco proponendo ritiri in montagna o visite a santuari mariani della zona o incontrando giovani sacerdoti xibetani. Vari pellegrinaggi sono stati compiuti in santuari rilevanti come quello mariano di Siracusa; infine alcuni fedeli, unendosi ad altri abitanti di Calascibetta, hanno compiuto un viaggio a Roma partecipando alle celebrazioni del giubileo (14-15 ottobre 2000). Al 1° maggio 1999 risale la sosta di alcuni seminaristi della diocesi di Caltanissetta, per la prima volta in visita a Cacchiamo, accompagnati dal rettore Giuseppe D’Anna, originario di Resuttano; il gruppo era di ritorno da una gita compiuta a Sperlinga e Nicosia.

[…]

Riassumendo, si può dire che dalla figura-prìncipe di san Giuseppe siano stati derivati elementi di identità sociale; anzitutto, linee di spiritualità cristiana sono state proposte alle famiglie e ai lavoratori, sebbene si sia verificata una ripresa del fenomeno migratorio e la popolazione locale si sia dimezzata. Il culto mariano ha alimentato vari momenti della pietà popolare e ha introdotto a vari contatti e incontri con ambienti ecclesiali del circondario, sebbene Càcchiamo si trovi in una zona marginale dell’entroterra, mal servita dalle vie di collegamento. Infine, dal concilio e dal rinnovamento pastorale proposto dai vescovi di Caltanissetta, sono stati assimilati vari stimoli per dare una forma meno sconnessa ad una comunità cristiana, sorta da vari innesti di famiglie coloniche. La comunità, pur trovandosi ad ereditare memorie frammentarie sulle proprie origini, ha recuperato e sviluppato la propria immagine storica e sociale.

Fonte: Notizie della parrocchia «San Giuseppe» di Càcchiamo (1960-2000), a cura di Salvatore Falzone, opuscolo pro manuscripto, Tip. La Moderna, Enna 2018, pp. 3-14.

 

    A volte, le tradizioni uniscono i popoli e vincono i confini del tempo…
Calascibetta è da sempre vicina ai popoli dell’Africa che si affacciano nel bacino del Mediterraneo, ed è anche centro di tradizioni, storia e cultura millenaria. Questa città gode della sua centralità geografica e vanta origini antichissime. Popoli provenienti dall’Anatolia (Asia Minore) già nel 2500 a.C., si insediarono in contrada Malpasso, mentre i reperti archeologici di quel periodo, esposti oggi nei musei Regionali “Paolo Orsi” di Siracusa e “Varisano” di Enna, hanno dato all’intera Sicilia una nuova facies, denominata Facies del Malpasso. Altre civiltà mediterranee nei secoli successivi hanno continuato ad insediarsi nella terra xibetana, lasciando vestigia greche, romane, bizantine ed arabe, queste ultime riconducibili alle popolazioni berbere. A questo flusso si aggiunsero normanni, aragonesi, spagnoli ed ebrei, seguiti da tanti altri fino all’unità d’Italia. Dal 2 settembre 2007, la città di Chappelle Lez Herlaimont in Belgio gemellata con la città di Calascibetta è rientrata a pieno titolo nella storia della nostra città.

La tradizione vuole che alcuni minatori, delle miniere di zolfo antistanti l’attuale santuario, ritrovando la statua della Madonna, nell’intento di portarla in luogo più decoroso e appropriato tentarono di trasferirla nella vicina città di Calascibetta. Giunti là, dove oggi sorge il Santuario, si dice, che il peso della statua divenne tale da dover posare la statua per riprendere le forze. All’alba successiva, non si riuscì più a spostare la statua per l’eccessivo peso, si decise così di costruire presso quei luoghi un santuario dedicato alla “Madonna del Buonriposo”.

I festeggiamenti di Maria SS. di Buonriposo iniziano il sabato della prima domenica di settembre, con la tradizionale sagra della salsiccia e proseguono domenica con la caratteristica “Corsa dei Berberi”, per concludersi il lunedì con la processione del simulacro della Madonna. L’attuale santuario fu realizzato nell’anno 1911 dall’ingegnere Malerba di Catania e sorge sui ruderi di una chiesa precedente, adiacente ad un ambiente rupestre. Le fonti storiche oggi conosciute, ci riportano al 1743 quando il Regio Visitatore Apostolico Giovanni De Ciocchis, inviato da Carlo III di Borbone re di Napoli e di Sicilia diventato poi re di Spagna, fece visita alla città di Calscibetta e nella sua relazione citò “l’Ecclesia S. Mariae Vulgo di Buonriposo”, il che fa pensare una datazione della prima chiesa ancora più antica.

“Palio dei Berberi”
Fra le tradizioni arabe, di cultura popolare, acquisite durante la dominazione in Sicilia, il “Palio dei Berberi” è un’avvincente corsa di cavalli, veri protagonisti della manifestazione, cavalcati rigorosamente a pelo tra gli inebrianti profumi del timo e d’altre erbe selvatiche.
Questa consuetudine fu portata a Calascibetta dai berberi, gente araba con usi e costumi diversi dalla popolazione autoctona, insediatisi a Calascibetta nel 851 d. C.. Il popolo dei Berberi discende da quelle stirpi libiche ben note agli antichi col nome di Getuli, Libi, Numìdi, ecc., che occupò l’area che va dal Mediterraneo al Sudan, dall’Atlantico all’Egitto.
Il percorso originario del palio, più lungo dell’attuale, partiva dalle pendici della necropoli di Realmese. La manifestazione, di grande attrazione popolare, si svolge la prima domenica di settembre in un’area designata agli incontri folcloristici rustici, in uno scenario ameno.

 

   La chiesa costruita nel 1340, dal re Pietro II d'Aragona, è senza dubbio il monumento più Importante della città. Lo stesso re la elevò a “ Regia Cappella Palatina ”, dotandola di: feudi, decime dei cittadini, Cappellano Regio, dodici canonici insigniti di almuzio nero e dodici mansionari.

La Regia Cappella Palatina di Calascibetta (cioè: Cappella del Palazzo Reale) è stata per sei secoli, la seconda Cappella Palatina del Regno di Sicilia, ininterrottamente ed unitamente a quella di Palermo fino all'11 febbraio 1929. Essa sorge sopra i ruderi del castello Marco, un antico fortilizio arabo, visibile nel pavimento della chiesa. Il castello al suo interno comprende una piccola chiesa paleocristina scavata nella roccia e sottostante la navata centrale. Tale presenza porta indietro nei secoli la datazione del sito rupestre, certamente a qualche secolo prima dell'anno 851 data dell'inizio della dominazione araba. E' probabile l'utilizzo della chiesa paleocristiana nel periodo pre bizantino, infatti, nelle immediate vicinanze vi sono i ruderi di una chiesa rupestre bizantina, il che porterebbe la datazione all'anno 550.
[...] “ I Vescovi di Catania vollero incorporata un tempo Calascibetta nella loro diocesi, ma sempre e sinora si stabili appartenersi al Regio Cappellano Maggiore ” (del Regno di Sicilia) [...]. 
Si sviluppa a pianta basilicale, con caratteristiche architettoniche particolari e numerosi bassorilievi d'arte catalano-aragonese tipica delle grandi cattedrali di Sicilia. L'allegoria trionfa in tutte le basi del colonnato, la cui forma richiama vagamente un tronco di piramide e crea una magnifica armonia con la colonna sovrastante. Gli spigoli riportano scolpiti in bassorilievo volti ora umani ora animali, a volte anche grotteschi. Su tutti i bassorilievi s'impongono la figura di Pietro II d'Aragona riportata sulla quarta di base di sinistra e quello di un “tricipitium” piccolo bassorilievo enigmatico, del tutto originale, riportato sulla quarta di base destra.
Questi bassorilievi sono considerati capolavori di scultura locale, inoltre su due basi di colonne è scolpito Il classico panierino augurale sullo stile dell'arte catalano-aragonese.
Gli archi della chiesa di stile gotico sostenuti dalle colonne, entrambi rimaneggiati nei secoli scorsi, lasciano intravedere appena in qualche punto la loro architettura originale. I vistosi restauri del '700 ne hanno quasi cancellato le tracce, mentre l'intera struttura appare slanciata verso l'alto. Nello stesso tempo l'interno della chiesa si presenta semplice e grandioso e come Regia Cappella Palatina è annoverabile per alcuni aspetti alle cattedrali, nei dispacci reali spagnoli del 31/7/1621 e successivi veniva denominata: Catedral de Calascibetta. Nella navata sinistra, si trova ubicata la cappella del fonte battesimale, in alto nella vecchia parete esterna rimane superstite, un'antica finestra dell'originaria facciata sostituita Intorno al 1750, perché gravemente danneggiata dal terremoto del 1693.
Nei secoli XVII, XVIII e XIX si riscontra in Calascibetta una vivace attività artistica, furono presenti in città pittori la cui personalità di spicco nel panorama artistico della Sicilia dell'epoca era notevole, tra questi: Giuseppe Alvino (1608), Filippo Paladini (1610), Gianforte La Manna (1617), Lorenzo Bellomo (1706), Giacomo Rindone (1744), Ludovico Suirech (1771), Francesco Sozzi (1783), Domenico e M. Provenzano (1890) e (1904) .
Adornano la chiesa, pitture e sculture di marmo tra cui un ciborio ed un fonte battesimale in marmo di scuola gaginiana.
Fra le leggi speciali che governarono la città di Calascibetta, ricordiamo la così detta “Legazia Apostolica” o “Monarchia Sicula”. Questo diritto regio, in Sicilia, valido solo nelle città demaniali fu ritenuto a ragione, “La gemma più preziosa dei re di Sicilia”, grazie al quale i sovrani dell’isola dall’XI sec. al 1929 diedero vita al loro sistema di Governo Ecclesiastico, che prese il nome di “Monarchia Sicula”.

Nell'anno 1894 la chiesa fu ampliata con la creazione delle tre aree absidali su progetto dell'ing. Mariano D'Angelo, il quale realizzò nella navata centrale una cupola, visibile solo dall'interno della chiesa, mentre dall'esterno non si nota perchè rivestita da un tiburio in pietra di arenaria compatta.

L'ultimo restauro risale al 1987, quando oltre al consolidamento dell'intera struttura è seguito il ripristino del decoro interno, tra l'altro scrostando l'intonaco settecentesco dalle colonne in pietra, ripristinando gli archi gotici, il tetto in legno, il pavimento e successivamente gli affreschi della cappella di San Pietro ed il restauro delle tele. Il nuovo portone in bronzo fuso nelle fonderie Cavallari di Roma nell'anno 1988 è opera dello scultore romano Ennio Tesei, è decorato a bossorilevo con un richiamo all'intera storia della Regia Cappella Palatina, ed ai simboli cristiani delle colombe  e dei pesci. I titolari della chiesa: San Pietro e Santa Maria Maggiore completano il portone bronzeo ed il decoro della chiesa.

I tesori inestimabili della Regia Cappella Palatina sono esposti presso il Museo Diocesano di Caltanissetta, ed occupano un'area espositiva notevole.

    Il Convento dei Cappuccini di Calascibetta fu costruito nel 1589 e custodisce la tela più importante del pittore fiorentino Filippo Paladini. 

Fra i francescani di Calascibetta si distinse il Ven. fra Simone Napoli, nato a Calascibetta e morto nel 1546 nel convento di S. Anna in Giuliana (PA). Appartenne a nobile famiglia e si rese insigne per virtù, fra le quali rifulgevano in lui la pazienza, l’umiltà, l’astinenza e la carità per gli infermi.

Operò miracoli e predisse la sua morte. Fu primo autore della riforma dei minori osservanti di S. Francesco nel regno di Sicilia, era l’anno 1533. Con l’autorità di Clemente VII, radunando compagni, ottenne conventi per la più stretta osservanza. Nell’anno 2001 una sua reliquia fu trasportata nel convento dei Padri Cappuccini di Calascibetta, dove attualmente viene venerata.

 Filippo Paladini, pittore fiorentino ha lasciato diverse opere in Sicilia, cinque nella sola città di Enna, furono dipinte tra il 1612 ed il 1613. Altre tele di questo pittore si trovano a Siracusa presso la chiesa dei padri Cappuccini, a Piazza Armerina, a Modica, a Caltagirone nella chiesa del collegio, ma il capolavoro di questo pittore si trova a Calascibetta nella chiesa dei padri Cappuccini, fu realizzata nel 1610 e raffigura “l’Adorazione dei Magi”.

La tela di grandi dimensioni riempie lo sfondo dell’altare maggiore, è firmata e datata, inoltre lo stesso Paladini è riprodotto in un piccolo autoritratto, collocato proprio vicino alla firma dell’autore; la scena è ricca di personaggi, ispirati alla natura iconografica del tema natalizio.
Esistono tre copie di questa tela: la prima a Siracusa nel Museo Bellomo, la seconda nella Pinacoteca Zelantea di Acireale, mentre la terza, opera di un pittore anonimo del 1732 è ubicata nella chiesa Madre di Calascibetta. La caratteristica di questa ultima tela è quella di lasciar intravedere due personaggi in più, appoggiati ad una struttura architettonica, mentre sulla tela del Paladini la stessa area è stata proposta più scura ed i due personaggi sono scarsamente percettibili.

 

 

La Parrocchia Ortodossa San Giovanni Battista in Calascibetta è nata nell’anno 2011, nell’antica chiesa cattolica di San Domenico a seguito di atto di cessione per il culto ortodosso redatto nel 2010 dal vescovo di Caltanissetta Mons. Mario Russotto alla comunità Ortodossa di Calascibetta. Sua Eminenza Rev.ma il Metropolita Gennadios Zervos, Arcivescovo Ortodosso d'Italia e Malta ed Esarca per l'Europa meridionale, l’11 maggio dell’anno 2011 venne a Calascibetta nella nuova Parrocchia Ortodossa, questo gesto tra le due chiese è stato interpretrato come segno per l’avvicinamento ed il dialogo tra le due Chiese. Nacque così la prima Parrocchia Ortodossa della provincia di Enna.
Nel passato, era l’anno 1523, i frati Domenicani abitarono in un convento fuori l’abitato, ed attaccato al tempio di Tutti i Santi (sotto l’attuale piazza Umberto Primo). Tra tutti i frati si distinse per santità Fra Bernardo Girio Bissano Priore dell’ordine dei frati Domenicani. Tale convento era talmente povero che i frati lo abbandonarono. Richiamati successivamente nel 1573 eressero un altro convento sulle rovine della Porta dell’Aquila, di cui oggi rimangono l’ex monastero e l’attuale chiesa di San Domenico. Il monastero, poiché era dotato di pochissime rendite fu nuovamente abbandonato nell’anno 1659. I Frati Scalzi dell’Ordine di S. Maria della Mercede a titolo di ospitalità ottennero dal vescovo di Catania F. Michele Angelo Bonadies nell’anno 1675,  la chiesa che fu intitolata a S. Maria della Mercede.
Lo Stato Italiano nel 1866, confiscò la chiesa ed il convento a seguito delle leggi eversive e li incamerò al Demanio dello Stato.
Di pregevole fattura è l’acquasantiera posta a sinistra entrando, la stessa riporta sotto il bordo in lingua latina una dicitura sulla commissione del manufatto ad opera di Antonio Lo Vecchio (barone e benefattore della città di Calascibetta).
Oggi la Parrocchia Ortodossa San Giovanni Battista, adeguata al culto ortodosso presenta una iconostasi in legno, donata dai fedeli ortodossi.
Lungo la facciata dell'antico monastero di via Conte Ruggero è ancora visibile un orologio solare. Nel quale si rileva la scritta: 16 a.nis. 38 seguita dal nome Petri Marchiafava. (Questo nome si ritrova nell’elenco dei soggetti che parteciparono al riscatto della città di Calascibetta del 1535). Nell’angolo destro dello stesso edificio, alla stessa altezza del primo, oggi poco visibile, vi è inciso un altro orologio. Poiché le letture degli orologi solari o meridiane in quel periodo erano due uno col sistema alla francese e l'altro all’italica. Le ore italiche sono contate dal tramonto del sole, mentre le ore francesi sono contate dalla mezzanotte.